La “nuova” Transilvania, ultima frontiera dei vini rossi della Romania

Viaggio nel cuore della regione vinicola romena. Tra i paesaggi mozzafiato e l’eleganza di Fetească neagră e Pinot Nero, quante chance per l’enoturismo

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I tetti delle case disegnano il profilo delle colline, tutt’attorno all’aeroporto di Cluj-Napoca. La seconda città per numero di abitanti della Romania accoglie i viaggiatori mescolando colori e forme. Confondendo terra e cielo. Un goloso antipasto della meta: quella Transilvania che è villaggi appoggiati di schiena a boschi selvaggi e distese di prati verdi su cui galleggiano cavalli, greggi di pecore, bovini e cicogne, planate a terra dai nidi arroccati sui pali della rete elettrica. Per finire risucchiati dal fascino della natura incontaminata transilvana basta superare i sobborghi che abbracciano il secondo aeroporto nazionale rumeno, indimenticabili per l’ostinata spavalderia delle architetture civili: case trifamiliari che paiono riproduzioni miniaturizzate del castello di Dracula, tra merletti, torrette e piani poggiati uno sull’altro come strati croccanti di una torta millefoglie, a segnare il passo delle nuove generazioni. Ad appena due ore di distanza da Cluj, tutto cambia. E a fare rumore è il silenzio dei vigneti battuti da una brezza fresca, instancabile.

Mentre il sole chiude gli occhi sul mondo, colorando di rosa le chiome degli alberi, Miron Radić svela i segreti di una terra che chiede spazio sulla cartina geografica del vino internazionale. «La nostra etichetta più esportata – spiega il general manager della cantina Liliac di Batoş – è un ice wine (a commercializzarlo è l’italiana Gaja Distribuzione, ndr) ma è con il rosato che stiamo conquistando sempre più fette di mercato, anno dopo anno. C’è una larga parte di consumatori che si approccia al vino scegliendo questo colore; e non mi riferisco solo alle donne, ma anche agli uomini. In Romania, il rosato è diventato la prima scelta di chi ha voglia di avvicinarsi al vino». In un Paese in cui quattro cantine detengono l’80% della produzione, le boutique wineries come Liliac viaggiano al ritmo di 450 mila bottiglie annuali. Formiche tra elefanti. Operose e con le idee piuttosto chiare.

Nell’ottica di incrementare l’export e conquistare nuove fette di mercato nazionali, gran parte delle “piccole” cantine della Transilvania (in romeno “cantina” si dice “crama“) stanno virando dalla produzione di vini con residui zuccherini medio-alti – facili da reperire a basso costo nell’intera Romania – a vini con una maggiore espressione territoriale e varietale. Una ricetta che passa dalla cura agronomica ottimale del vigneto, dalla raccolta manuale e dalla cernita dei grappoli e dall’innalzamento qualitativo della tecnologia in cantina, grazie ai cospicui sussidi europei. «Vogliamo portare nel calice le specificità della nostra terra – afferma Paula Alexandra Bota, enologa di Liliac – e la voce più autentica delle varietà autoctone e internazionali che si possono trovare anche in altre regioni, ma che in Transilvania hanno espressioni diverse, particolari».

FETEASCĂ NEAGRĂ E PINOT NERO, IL NUOVO VOLTO ROSSISTA DELLA ROMANIA

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Emblematico il caso del Fetească neagră, vitigno autoctono romeno a bacca rossa che ha chance incredibili di trasformarsi nel cavallo di Troia dei produttori della Transilvania, sui mercati internazionali. A differenza di altre zone della Romania, qui il vitigno esprime tratti di croccantezza unici che lo avvicinano al gusto dei consumatori moderni, a caccia di rossi agili, freschi, di gran beva e che non presentino eccessive concentrazioni. Il merito è del clima temperato, con escursioni termiche importanti e notti fresche, che contribuiscono ad elevare il quadro aromatico delle uve. Alla vista, la Fetească neagră di Liliac si presenta di un rubino splendido. Al naso abbina frutti rossi perfettamente maturi a una speziatura corroborante. Uno stile simile a quello del Piedirosso, nuovo asso nella manica dei produttori della Campania nei mercati globali. Per certi versi, la “Fanciulla nera” (questa la traduzione letterale del nome della varietà) ricorda anche i succosi Cabernet Franc della Loira, in particolare i “vin léger” di Saumur.

Ancora più elegante Titan, altro vino di Liliac ottenuto da Fetească neagră in purezza, questa volta però con un passaggio di 24 mesi in botti di rovere della Transilvania (usate in maniera ineccepibile). Il vino, di maggiore concentrazione ma raffinatissimo, presenta note di piccoli frutti a bacca nera, oltre che rossi, ed è nato da un’intuizione di Miron Radić. Bottiglia pesante (unica pecca), packaging che non passa inosservato (ogni bottiglia bordolese ha un’etichetta in vera pelle realizzata a mano da un legatore austriaco e lettere forgiate in platino) e prezzo non alla portata di tutti: 130 euro. Titan, prodotto solo nelle migliori annate, in edizione limitata, è da segnalare fra i vini romeni da assaggiare almeno una volta nella vita. Almeno per due ragioni: comprendere le punte di qualità della Fetească neagră; e toccare con mano gli ormai elevatissimi standard raggiunti da alcuni winemaker romeni.

Ovidiu Maxim è un altro fulgido membro di questo gotha di professionisti. A lui è affidata la direzione enologica di Crama La Salina Winery. Siamo a Turda, 40 chilometri a sud di Cluj-Napoca. Una località nota a livello internazionale per la presenza della Salina Turda, una tra le più grandi miniere di sale al mondo, visitata da circa 600 mila persone all’anno. La cantina e i suoi vigneti si trovano a pochi passi dall’ingresso del groviglio di cunicoli sotterranei della miniera, su ampi terrazzamenti che sovrastano impianti a corpo unico. Ancora una volta a convincere più di tutti è un vino rosso, ottenuto – nel caso di Crama La Salina – da una varietà internazionale. Si tratta del Pinot Noir “Issa”, edizione limitata della vendemmia 2020. Un nettare che ha tutto per competere con le migliori espressioni del vitigno a livello internazionale, senza scomodare per forza la Borgogna.

CLIMA ED ENOTURISMO: COME CAMBIA LA TRANSILVANIA DEL VINO

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Fetească neagră
e Pinot noir invitano a riflettere su come i cambiamenti climatici stiano trasformando la Transilvania da “terra di vini bianchi” a nuova frontiera dei vini rossi della Romania. Una regione vinicola in cui trovare nettari freschi, dai toni tipicamente varietali, di grande eleganza e dal carattere non indifferente, nonché di gran longevità. Vini che riflettono clima, suolo e parcelle, proprio come nel caso del Pinot Noir “Issa”, frutto di una porzione di vigneto a 470 metri sul livello del mare.
Ma la Transilvania è in rampa di lancio anche sul fronte dell’enoturismo.

Lo dimostra il progetto a tutto tondo di Crama La Salina Winery, che può contare anche su un ristorante da 250 coperti, “Sarea-n bucate“, su un albergo foresteria con 13 bungalow molto ben attrezzati, un’area esterna con due piscine e una palazzina ancora in fase di costruzione, che ospiterà altre stanze. Fondi europei investiti in maniera ben oculata anche a 150 chilometri di distanza da Turda, per l’esattezza a Satu Nou, da parte di Crama Jelna Resort & Spa.

Anche in questo caso la cantina è affiancata da un moderno hotel-pensione con Spa, oltre al ristorante che serve piatti della tradizione rumena rivisitati in chiave moderna. Tra i vini di Jelna, curati dall’enologo Darius Pripon, interessante – dal punto di vista del packaging innovativo – il Blanc perlant, ovvero il bianco frizzante in bottiglia da 33 cl. «Un’alternativa alla birra», disponibile anche in versione rosé. L’ennesima riprova di quanto sia moderna e scoppiettante la scena enologica rumena. Al passo coi tempi e pronta a conquistare anche i mercati più evoluti, con vini di qualità assoluta e intuizioni di marketing futuristiche. Prosit.

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